domenica 15 marzo 2015

"Oggi sono uno di loro" di Filippo Tucci

27 gennaio...la giornata della memoria


Il Giorno della memoria (per ricordare ai giovani)
OGGI SONO UNO DI  LORO
di Filippo  Tucci
Oggi, nel mio viaggio verso Mauthausen, sono uno di loro. Una larva d’uomo tra le molte decine di migliaia che, muti ed attoniti, compongono l’interminabile fila che dalla stazione ferroviaria si snoda lungo i pendii che portano in collina, al lager. C’è il sole, la lieve brezza mattutina, il verde dei prati. Ma i miei occhi non vedono: sono spenti dalla sofferenza. Ho solo orecchie per ascoltare i lamenti dei bambini, i singhiozzi delle madri, il faticoso ansare dei vecchi. Non odo le urla inferocite dei carnefici, né i cani che riducono a brandelli la mia carne, né il crepitio del mitra. Non soffro per lo scudiscio che riga la mia schiena, né per l’appuntito selciato percorso a piedi nudi. Ascolto il mio cuore. Il mio cuore che anela alla Libertà’, ad un mondo più giusto, alla Fratellanza ed alla Pace. Libertà: sono morti nel suo nome i miei fratelli di ogni lingua e colore. Moriamo anche noi, morranno coloro che stimano questo il massimo bene della loro condizione. Perché? Forse perché è più facile immolarsi ad essa, anziché possederla, attuarla e rispettarla, se ancor oggi – nonostante i fiumi di sangue di cui è stata intinta la terra –  gli uomini si ripetono nel tentare di sopprimerla e nel morire? O forse, quotidianamente, gli spiriti eletti si sacrificano  perché non è stata ancora placata l’ira della tirannia, questa mostruosa dea alla cui ara fu portato, in olocausto, il nostro sangue? Il calvario continua. Una tetra e sinistra fortezza ci attende, ci inghiotte, ci cancella dal mondo dei vivi. Ora siamo dei numeri. Nello spazio limpido echeggiano secchi comandi; nudi ed inermi per ore sotto il sole, ora rovente. Il bimbo continua il suo pianto, il vecchio si accascia al suolo. Il mitra riprende il suo lugubre inno alla morte. Il sangue colora di rosso vermiglio la terra, il bimbo tace. L’urlo e lo strazio di una madre.
La lunga scala, interminabili e disuguali gradini, con i macigni sulle spalle. La paura di fermarsi, il terrore di cadere, l’angoscia per chi non ha resistito al tremendo sforzo. Centocinquantesimo gradino: le gambe appesantite, i piedi striscianti sulla pietra. Ancora più su. Centosessanta: le mani tremano, la spalla una piaga. Centosettanta:  la fronte imperlata d’un gelido sudore misto a sangue, la schiena curva sotto il peso. C entottanta: le ginocchia si curvano, sibila la frusta, cola il sangue. Centottantasei: l’incubo è finito per chi si è fermato, continua per i sopravvissuti  finchè non resteranno solo gli aguzzini per la tragica scalata.
Il corpo esangue e denutrito, uno scheletro ormai, viene avviato all’ultimo martirio. Il numero si cancella. Mani di sciacalli mutilano le membra. Il gas spegne l’ultimo anelito di vita. Il fuoco ridà alla natura quel che le appartiene.
I duecentomila di Mauthausen sono ora la polvere che noi calpestiamo, sono i fiori e le piante di questa terra. Il loro messaggio ci viene dalle steli marmoree e dalle parole scolpite sulle lapidi. Hanno molte lingue, i martiri dei lager, ma in russo,inglese o italiano le loro parole sono un inno alla Libertà, alla Democrazia, alla Pace fra i popoli.
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Questo scritto  di Filippo Tucci è tratto dal volume “Un viaggio, una memoria” edito dalla Amministrazione Provinciale di Como nel marzo del 1967.

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