"Carissimo
Filippo, ti ringrazio per l'acuta quanto certosina analisi critica
del mio romanzo. Come tu stesso hai colto, il mio Romanzo, se affonda
nel passato , parla molto del presente. D'altronde, era anche un mio
obiettivo parlare e dire cose che la storia aveva già detto: la
magnanimità, il tradimento, l'ansia religiosa. Io penso che parlare
della storia delle nostre terre può servire a riparare un vulmus
culturale ed uscire, anche, dagli usuali stereotipi che ci porta ad
esser percepiti come fastidiosi periferici. Ti ringrazio ancora con
la speranza di incontrarci presto. Abbracci affettuosi. Santo
Gioffrè"
In ricordo del commendatore Filippo Tucci, storico presidente dell'Azienda Comasca Trasporti e dell'Azienda Consortile Pubblici Trasporti, vera anima del P.S.D.I. comasco.
domenica 15 marzo 2015
L'ultimo articolo di Filippo Tucci (2/3/2015)
Ho
finito di leggere (e rileggere) il libro di Santo
Gioffrè "il
Gran Capitano e il mistero della Madonna Nera". Ecco il mio
commento:
E’
un tuffo all’indietro nel tempo quello che ci propone lo scrittore
calabrese Santo Gioffrè nel suo ultimo romanzo: “Il Gran Capitano
e il mistero della Madonna Nera”. Gli eventi su cui si impernia la
trama del libro sono compresi tra la fine del 1400 e i primi anni del
1500 e si svolgono principalmente nella città di Seminara, sullo
sfondo delle tumultuose vicende che in quel periodo hanno
insanguinato l’intero Regno di Napoli. Giganteggia la figura dello
spagnolo don Consalvo de Cordoba, comandante delle truppe spagnole.
La narrazione prende le mosse dalla prima battaglia, svoltasi nel
1495, avvenuta nei pressi di Seminara e nella quale don Consalvo de
Cordoba ne uscì sconfitto. Riuscì a salvarsi la vita, grazie
all’aiuto prestatogli da una bella signora locale. Dopo quest’avvio
non proprio brillante, allo stesso don Consalvo arrideranno tanti
successi militari che gli porteranno gloria e fama fino a farlo
diventare duca di Terranova-Gerace e Vicerè del Regno di Napoli. Il
personaggio certo giganteggia non solo per “il mestiere delle armi”
(nel quale è stato imbattibile), ma anche perché usciva dagli
schemi correnti di quell’epoca, perché era propenso a gesti di
magnanimità e non si abbandonò mai ad atti di gratuita violenza ed
atrocità. Si sentiva ” Romano” e doveva piacergli l’antico
motto Parcere subiectis et debellare superbos, anche se non riuscì a
debellare del tutto i baroni superbi ed endemicamente intriganti. Era
dotato inoltre di una religiosità intima e sincera che lo legò
indissolubilmente alla sacra Madonna Nera di Seminara. Nel racconto
si scoprono le varie sfaccettature di Consalvo de Cordoba che
accarezzò perfino l’idea di divenire Re, riconoscendo a se stesso
questo diritto per avere, lui e la sua armata, conquistato il Regno
di Napoli. Quest’ambizione in realtà rimase allo stato puramente
teorico e, vista la situazione storica dell’epoca, non aveva
oggettivamente nessuna possibilità di diventare concreta. Le grandi
potenze del tempo e soprattutto il suo Re Ferdinando non lo avrebbero
mai tollerato. Avrebbe avuto contro anche lo Stato della Chiesa di
Papa Borgia, il cui figlio Cesare non andava molto per il sottile con
i suoi nemici ed era impegnato a realizzare uno Stato Borgiano che
avrebbe dovuto comprendere la gran parte d’Italia, senza contare
infine l’avversità dei vecchi feudatari. Sì, forse sentiva
attorno a se un diffuso consenso popolare, dovuto al suo essere
diverso rispetto agli altri conquistatori, ma non era ancora giunto
il tempo in cui i sudditi avrebbero potuto esprimersi sui propri Re.
Il fluire leggero e accattivante di questo romanzo di Santo Gioffrè,
sorretto da una trama intrigante, non tragga il lettore in inganno;
vi sono dei messaggi “criptati” che, se recepiti, sono di
un’attualità estrema. Intanto è singolare (ma non troppo) che
lungo la vallata del fiume Petrace, teatro di cruente battaglie, non
esista una targa, una segnaletica, un cippo che ricordi tali eventi.
Allora come oggi, la nostra ancestrale indolenza ci tiene ai margini
degli eventi. Potrebbero sembrare cose che non ci riguardano e invece
sono parte integrante della nostra storia. Poi a pensarci bene, per
la Calabria e per la nostra Piana cos’è cambiato in questi
cinquecento e rotti anni? Sono passati i Borboni, i francesi di
Gioacchino Murat, i mille di Garibaldi, i Savoia. Ora siamo un popolo
sovrano in una Repubblica democratica a suffragio universale,
incapaci, però, di essere arbitri del nostro destino. In questo
senso ancora una volta la storia è maestra di vita, per cui diventa
più pregevole, l’opera di Santo Gioffrè. C’è solo da sperare
che qualcuno ne comprenda anche il valore pedagogico e doti le
biblioteche scolastiche calabresi di questo ottimo volume. Filippo
Tucci
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"Oggi sono uno di loro" di Filippo Tucci
27 gennaio...la giornata della memoria
Il Giorno della memoria (per
ricordare ai giovani)
OGGI
SONO UNO DI LORO
di
Filippo Tucci
Oggi,
nel mio viaggio verso Mauthausen, sono uno di loro. Una larva d’uomo
tra le molte decine di migliaia che, muti ed attoniti, compongono
l’interminabile fila che dalla stazione ferroviaria si snoda lungo
i pendii che portano in collina, al lager. C’è il sole, la lieve
brezza mattutina, il verde dei prati. Ma i miei occhi non vedono:
sono spenti dalla sofferenza. Ho solo orecchie per ascoltare i
lamenti dei bambini, i singhiozzi delle madri, il faticoso ansare dei
vecchi. Non odo le urla inferocite dei carnefici, né i cani che
riducono a brandelli la mia carne, né il crepitio del mitra. Non
soffro per lo scudiscio che riga la mia schiena, né per l’appuntito
selciato percorso a piedi nudi. Ascolto il mio cuore. Il mio cuore
che anela alla Libertà’, ad un mondo più giusto, alla Fratellanza
ed alla Pace. Libertà: sono morti nel suo nome i miei fratelli di
ogni lingua e colore. Moriamo anche noi, morranno coloro che stimano
questo il massimo bene della loro condizione. Perché? Forse perché
è più facile immolarsi ad essa, anziché possederla, attuarla e
rispettarla, se ancor oggi – nonostante i fiumi di sangue di cui è
stata intinta la terra – gli uomini si ripetono nel tentare
di sopprimerla e nel morire? O forse, quotidianamente, gli spiriti
eletti si sacrificano perché non è stata ancora placata l’ira
della tirannia, questa mostruosa dea alla cui ara fu portato, in
olocausto, il nostro sangue? Il calvario continua. Una tetra e
sinistra fortezza ci attende, ci inghiotte, ci cancella dal mondo dei
vivi. Ora siamo dei numeri. Nello spazio limpido echeggiano secchi
comandi; nudi ed inermi per ore sotto il sole, ora rovente. Il bimbo
continua il suo pianto, il vecchio si accascia al suolo. Il mitra
riprende il suo lugubre inno alla morte. Il sangue colora di rosso
vermiglio la terra, il bimbo tace. L’urlo e lo strazio di una
madre.
La
lunga scala, interminabili e disuguali gradini, con i macigni sulle
spalle. La paura di fermarsi, il terrore di cadere, l’angoscia per
chi non ha resistito al tremendo sforzo. Centocinquantesimo gradino:
le gambe appesantite, i piedi striscianti sulla pietra. Ancora più
su. Centosessanta: le mani tremano, la spalla una piaga.
Centosettanta: la fronte imperlata d’un gelido sudore misto a
sangue, la schiena curva sotto il peso. C entottanta: le ginocchia si
curvano, sibila la frusta, cola il sangue. Centottantasei: l’incubo
è finito per chi si è fermato, continua per i sopravvissuti
finchè non resteranno solo gli aguzzini per la tragica scalata.
Il
corpo esangue e denutrito, uno scheletro ormai, viene avviato
all’ultimo martirio. Il numero si cancella. Mani di sciacalli
mutilano le membra. Il gas spegne l’ultimo anelito di vita. Il
fuoco ridà alla natura quel che le appartiene.
I
duecentomila di Mauthausen sono ora la polvere che noi calpestiamo,
sono i fiori e le piante di questa terra. Il loro messaggio ci viene
dalle steli marmoree e dalle parole scolpite sulle lapidi. Hanno
molte lingue, i martiri dei lager, ma in russo,inglese o italiano le
loro parole sono un inno alla Libertà, alla Democrazia, alla Pace
fra i popoli.
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