Ho
finito di leggere (e rileggere) il libro di Santo
Gioffrè "il
Gran Capitano e il mistero della Madonna Nera". Ecco il mio
commento:
E’
un tuffo all’indietro nel tempo quello che ci propone lo scrittore
calabrese Santo Gioffrè nel suo ultimo romanzo: “Il Gran Capitano
e il mistero della Madonna Nera”. Gli eventi su cui si impernia la
trama del libro sono compresi tra la fine del 1400 e i primi anni del
1500 e si svolgono principalmente nella città di Seminara, sullo
sfondo delle tumultuose vicende che in quel periodo hanno
insanguinato l’intero Regno di Napoli. Giganteggia la figura dello
spagnolo don Consalvo de Cordoba, comandante delle truppe spagnole.
La narrazione prende le mosse dalla prima battaglia, svoltasi nel
1495, avvenuta nei pressi di Seminara e nella quale don Consalvo de
Cordoba ne uscì sconfitto. Riuscì a salvarsi la vita, grazie
all’aiuto prestatogli da una bella signora locale. Dopo quest’avvio
non proprio brillante, allo stesso don Consalvo arrideranno tanti
successi militari che gli porteranno gloria e fama fino a farlo
diventare duca di Terranova-Gerace e Vicerè del Regno di Napoli. Il
personaggio certo giganteggia non solo per “il mestiere delle armi”
(nel quale è stato imbattibile), ma anche perché usciva dagli
schemi correnti di quell’epoca, perché era propenso a gesti di
magnanimità e non si abbandonò mai ad atti di gratuita violenza ed
atrocità. Si sentiva ” Romano” e doveva piacergli l’antico
motto Parcere subiectis et debellare superbos, anche se non riuscì a
debellare del tutto i baroni superbi ed endemicamente intriganti. Era
dotato inoltre di una religiosità intima e sincera che lo legò
indissolubilmente alla sacra Madonna Nera di Seminara. Nel racconto
si scoprono le varie sfaccettature di Consalvo de Cordoba che
accarezzò perfino l’idea di divenire Re, riconoscendo a se stesso
questo diritto per avere, lui e la sua armata, conquistato il Regno
di Napoli. Quest’ambizione in realtà rimase allo stato puramente
teorico e, vista la situazione storica dell’epoca, non aveva
oggettivamente nessuna possibilità di diventare concreta. Le grandi
potenze del tempo e soprattutto il suo Re Ferdinando non lo avrebbero
mai tollerato. Avrebbe avuto contro anche lo Stato della Chiesa di
Papa Borgia, il cui figlio Cesare non andava molto per il sottile con
i suoi nemici ed era impegnato a realizzare uno Stato Borgiano che
avrebbe dovuto comprendere la gran parte d’Italia, senza contare
infine l’avversità dei vecchi feudatari. Sì, forse sentiva
attorno a se un diffuso consenso popolare, dovuto al suo essere
diverso rispetto agli altri conquistatori, ma non era ancora giunto
il tempo in cui i sudditi avrebbero potuto esprimersi sui propri Re.
Il fluire leggero e accattivante di questo romanzo di Santo Gioffrè,
sorretto da una trama intrigante, non tragga il lettore in inganno;
vi sono dei messaggi “criptati” che, se recepiti, sono di
un’attualità estrema. Intanto è singolare (ma non troppo) che
lungo la vallata del fiume Petrace, teatro di cruente battaglie, non
esista una targa, una segnaletica, un cippo che ricordi tali eventi.
Allora come oggi, la nostra ancestrale indolenza ci tiene ai margini
degli eventi. Potrebbero sembrare cose che non ci riguardano e invece
sono parte integrante della nostra storia. Poi a pensarci bene, per
la Calabria e per la nostra Piana cos’è cambiato in questi
cinquecento e rotti anni? Sono passati i Borboni, i francesi di
Gioacchino Murat, i mille di Garibaldi, i Savoia. Ora siamo un popolo
sovrano in una Repubblica democratica a suffragio universale,
incapaci, però, di essere arbitri del nostro destino. In questo
senso ancora una volta la storia è maestra di vita, per cui diventa
più pregevole, l’opera di Santo Gioffrè. C’è solo da sperare
che qualcuno ne comprenda anche il valore pedagogico e doti le
biblioteche scolastiche calabresi di questo ottimo volume. Filippo
Tucci
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